Nomen Omen: l'importanza del brand, dell'etichetta e del naming

Il caso “Le mamme non si toccano”: chi control il controllore?

di Giovanni Pagano

 

Ma vogliamo piantarla una buona volta di confondere le acque?

Vedi la foto di una bella ragazza che sorride, ma non noti subito che ha 6 dita perché è falsa; gusti con interesse una poesia inedita di Gertrude Stein, ma devi arrenderti all’abilità dell’Intelligenza Artificiale che ne ha mutuato lo stile; non fai a tempo a leggere le ultime notizie dal fronte ucraino, ma i solerti tifosi dell’altra “squadra” catechizzano che trattasi di fake news lanciate come missili di guerra ibrida. Ma che vi ha preso? Perché ormai il falso va più di moda della realtà? Ci rendiamo davvero conto delle conseguenze nefaste di questa deriva? E in particolare che avanti così stiamo distruggendo i principi della sana comunicazione?

 

Ed eccoci al punto: la Comunicazione.
Sono in pubblicità da 30 anni e “comunicazione falsa” mi sembra un inaccettabile ossimoro, nè credo di essere bigotto. Non ho mai lavorato in McCann, ma ho sempre ammirato il pay off “Truth well told” e la sua semplice deontologia. È la nostra mission, ragazzi: non possiamo prendere per il culo la gente, dobbiamo cercare di trovare il modo migliore per convincerla a comprare il nostro prodotto o servizio, ma non dobbiamo mentire mai, pena la fine della credibilità del nostro lavoro, o sbaglio?

Dunque spunta online quest’affissione con l’intrigante titolo “La mamma non si tocca. O forse sì”, e uno già comincia a domandarsi se è opportuno individuare il target dei vibratori Control in figli devoti e impegnati nella scelta del regalo per la festa della mamma. Ma.

Ma in realtà l’affissione “non è mai uscita e il motivo non vi piacerà”, comincia a petulare Control Italia, lasciando intravedere oscuri interventi di qualche repressivo Torquemada: “La nostra campagna non si può promuovere sui canali social e non è potuta diventare una vera affissione”; ma, colpo di scena, l’azienda si ribella eroicamente a questo odioso diktat: “Noi abbiamo deciso di farla uscire lo stesso”, e poi audacemente incita addirittura alla rivolta: “Se anche voi credete che il piacere sia un diritto di tutti, condividete”. Nobile causa, ovviamente subito abbracciata da una folta schiera di boccaloni, che ne hanno assicurato l’immediata viralizzazione. Ma.

 

Ma il mio amico Mizio Ratti (che chiamo affettuosamente Brontolo per motivi che presto saranno chiari a tutti) assieme a un mare di difetti ha anche alcuni pregi: è onesto (caratteristica poco trendy), ha fiuto, ama la professione pubblicitaria. E siccome è anche dannatamente ostinato conduce una sua personale inchiesta, resistendo a blandizie e nebulosità, al termine della quale scopre che nessuno ha mai operato nessuna censura sull’affissione, e cioè che tutta la storia è stata inventata di sanapianta.

Ora, il mondo si divide fra chi pensa che il goal di mano di Maradona contro l’Inghilterra fosse un’opera d’arte e chi, come me, pensa che si sia trattato di un furto scandaloso, anzi di più: della negazione del concetto stesso di sportività. E lo stesso è in comunicazione: io ho sempre odiato le campagne fake, le ho combattute quando ero proboviro dell’Art Directors Club e infine ho dato le dimissioni dal Club quando ne ho visto un presidente assegnare un Lapis d’oro ad una campagna che lui per primo sapeva falsa.

 

Però se spacciare campagne false per vere allo scopo di vincere un premio di cartone in fondo è un peccato veniale, una bravata adolescenziale che sporca solo l’ADCI, invece è di una gravità potenzialmente letale per la nostra professione l’immettere nel mercato una notizia falsa, venendo meno a un patto sottinteso, ma ferreo, fra cliente e consumatore.

Seguitemi, vi prego: si chiama “comunicazione” perché comunichiamo; ma se comunichiamo il falso stiamo realmente “comunicando”?
Adesso chiudete gli occhi e provate a immaginare che fine fa la pubblicità se passa il concetto che possiamo infarcirla di balle, quando la notizia diventasse di dominio pubblico. Ve lo dico io: il crollo verticale della nostra credibilità. A chi può sfuggire questa solare evidenza?

Per cui delle due, una: o la piantiamo qui di fare i furbetti del quartierino, o chiudiamo tutto e ce ne andiamo a casa. Lasciamo il campo a questi astuti Tafazzi, ma prima cambiamo il pay off della nostra professione: che ne dite di “Lie well told”?